Cari amici, bloggers e semplici curiosi,
per conoscere la vera storia
dei Templari non si può prescindere da uno studio rigoroso dei documenti
storici.
Ed è proprio analizzando questi incartamenti
che risulta chiaro l’esistenza di una
dottrina segreta, con ogni probabilità sviluppatasi in contemporanea alla
nascita della Milizia nel lontano 1118. Tutto ciò ci deve spingere a pensare
che in questa Istituzione cavalleresca la deviazione dall’originale dottrina
cattolica, a cui la Regola ufficiale dei Templari si uniformava sin dal 1128,
sia stata portata dai nobili fondatori dell’Ordine.
Infatti è bene non
dimenticare che in quell’epoca le distinzioni sociali erano di primaria importanza
ed erano fondate sul sangue, anche all’interno dell’Ordine templare. C’erano
infatti i nobili, principi, duchi, conti e baroni, con le loro casate blasonate,
con la loro legittimazione dinastica, e poi c’erano i cavalieri , i
combattenti, spesso con un passato burrascoso alle spalle. I capi dell’Ordine furono
sempre “di sangue blu”, imparentati con
questa o quella casa regnante d’Europa, anche se si può ben dire che i Templari
agirono sempre per il loro interesse che non sempre coincideva con quello delle
casate europee o della Santa Sede, in quel tempo impegnate in un’aspra lotta contro
“gli infedeli” mussulmani. Come non ricordare a proposito le parole di Federico
II, imperatore del Sacro Romano Impero e re di Gerusalemme, “ cresciuti tra le delizie dei baroni
d’Oriente, I templari, pieni di orgoglio, hanno ricevuto in pompa magna
nell’Ordine diversi sultani..”.
In Inghilterra, come in altre
parti d’Europa, presso quei popoli, i Templari non godevano di una grande nomea,
forse per la loro attività bancaria, in molti casi, usuraia. Alcuni detti
popolari, quali “bere come un templare” o “state in guardia dal bacio dei Templari” erano di uso comune e
manifestavano questo distacco dalla gente.
Dei processi che si svolsero
dopo l’arresto dei Templari nel 1307 in Francia, conosciamo bene quello di
Carcassonne e quello di Firenze. Leggendo i verbali degli interrogatori di
entrambi i processi, si evidenzia uno stesso tipo di “dottrina segreta”,
occultata dietro la religione ufficiale, quella cattolica, e prescritta da
alcuni Statuti in vigore all’interno
dell’Ordine che non sono mai stati però ritrovati.
E’ bene ricordare che , ad
eccezione del documento di Chinon del 1308, ritrovato nell’Archivio Segreto
vaticano nel 2001, e del quale si è data un’interpretazione assolutamente
fuorviante, presso la Santa Sede non vi sono gli atti del processo ai Templari
del 1307 ma solo un’inchiesta fatta dall’arcivescovo di Pisa e da quello di
Firenze del 1310 che contiene 26 fogli. Poi ci sono dieci rotoli delle diverse
inchieste fatte sui Templari per ordine di Papa Clemente nell’isola di Cipro,
nel ducato di Urbino e in diverse città francesi e italiane.
Nelle carte del processo
fiorentino, e solo in quello, si trova il nome dell’idolo adorato dai Templari,
definito dai cavalieri nelle loro dichiarazioni
spontanee con il termine di Magunet.
Molti furono i crimini imputati
ai Templari ai quali tentarono di dare una risposta i domenicani della Santa
Inquisizione e i commissari speciali voluti da papa Clemente V° il quale, è
bene ricordare, nella bolla di scioglimento dell’Ordine, nel 1312, scrisse “alcuni dei Templari hanno confessato altri
crimini orribili ed osceni su cui per ora taceremo”. Oltre infatti a quelli noti ,di cui parlerò in
seguito, non si seppe mai di quali altri “crimini” erano stati imputati i
Templari.
A questo punto quindi non
rimane che fare un focus sulle
confessioni dei Templari, alcune estorte sotto tortura, per esempio a Parigi,
come era uso fare per gli eretici, altre,
invece, senza l’ausilio di essa, come
per esempio avvenne a Poitiers, a Firenze, a Carcassonne, in Sicilia, a
Brindisi, a Ravenna, a Pisa, in Inghilterra o in Germania.
La verità storica che emerge
nella comparazione di tutti questi
verbali ci dimostra che i cavalieri raccontavano quasi le stesse cose sia che
fossero stati posti sotto tortura o no. Parlarono delle iniziazioni notturne
fatte a porte chiuse dove si svolgevano dei riti dei quali nessuno avrebbe
dovuto parlare al di fuori dell’Ordine, pena la morte. I contenuti di quei riti riguardavano
l’insulto alla figura di Gesù e alla croce, simbolo del cristianesimo, una
serie di “baci osceni”, l’adorazione
di un idolo considerato l’immagine del vero Salvatore, l’omissione delle parole
sacramentali durante la messa, il diritto del Gran Maestro di concedere l’assoluzione per i peccati (secondo
gli articoli 107 e 108 dell’atto di accusa francese, confermato nel processo di
Firenze), l’autorizzazione di crimini contro natura.
L’indagine svolta fece
emergere che tali pratiche erano contemplate in uno Statuto dell’Ordine che il
cavaliere Gèrard De Caus dichiarò “non a
disposizione dei fratelli”.
A Firenze il primo testimone
affermò che l’adorazione dell’idolo era un rituale osservato nell’intero Ordine
e che c’erano idoli in tutte le sale capitolari. In Francia il 104° testimone,
Raynal De Bergeron, disse ai commissari pontifici che lo svolgimento di queste
pratiche erano comandate dall’alto in
quanto precetto. Gerard De La Roche, 106° testimone dichiarò che chi si
rifiutava di svolgere queste pratiche di rinnegamento della figura di Gesù o
non voleva sputare sulla croce, veniva picchiato o incarcerato, nella migliori
delle ipotesi. Il Templare Gervais de Beauvais, rettore della casa del Tempio
di Laon, disse che nella sala capitolare c’era una cosa così segreta
( quidum punctus adeo
secretus) che per sua sfortuna qualcuno l’avesse per caso vista, bisognava ucciderlo,
anche se fosse stato il re di Francia. Aggiunse che c’era un libricino segreto
che non avrebbe consentito mostrare a
nessuno al mondo.
A questo punto appare chiaro
che vi era una “dottrina segreta” non divulgabile al di fuori dell’Ordine
perché chiaramente “eretica”.
Fulcro di questa “dottrina
segreta”, in base a questa testimonianze processuali, è una sorta di rozzo
dualismo, la considerazione per i Templari, almeno per i capi dell’Ordine, la
cui visione era imposta poi ai subordinati, che vi erano due divinità distinte ma legate tra di loro.
Il Templare Jean de Sarnage a questo proposito, rendendo testimonianza
disse che “come recitavano gli Statuti dell’Ordine, non bisognava credere in Gesù perché era stato un falso
profeta, senza alcun potere di salvezza ed invece bisognava credere ad un Dio
Superiore, quello che sta nei cieli.” La stessa affermazione la fece Foulques
de Troyes il quale aggiunse che “non
bisognava dare attenzione a Gesù in quanto troppo giovane”.
Contemporaneamente a questa
considerazione per il “Dio che sta in
cielo” i frati-anziani spiegavano ai giovani l’importanza che un
particolare idolo aveva per l’Ordine, definito nella deposizione del cavaliere
Raoul De Gisy col termine Maufe, cioè
demone. Secondo Pierre de Moncade, “l’idolo
era un demone dell’inferno”, mentre per Jean de Cassaignes, il cavaliere che fu interrogato nel processo
di Carcassonne, “era il principe del mondo”. Quest’ultimo aggiunse che durante la
sua iniziazione gli venne detto che questo idolo di bronzo, di forma umana,
rivestito di una sorta di dalmatica “è amico di Dio, che dialoga con Dio e che
bisogna rendergli grazie per il bene che fa e per i desideri che esaudisce”.
L’idolo infatti veniva considerato come il protettore dell’Ordine, un benefattore
che poteva arricchire la Milizia, far “fiorire
gli alberi e germogliare la terra”, come disse Bernardo da Parma nel processo
di Firenze. Deposizione confermata poi da Jacopo da Pigazzano e da Nicolas
Règinus che aggiunsero che all’idolo ci si rivolgeva con rispetto, con la
seguente formula “Deus adjuva me”.
La definizione di quale fosse
la forma dell’idolo però trova tanti punti discordanti tra le varie deposizione
dei cavalieri.
Jean Taillefer de Gene, entrato
nel Priorato di Mormant, per esempio disse di aver visto “un idolo posato sull’altare che era di colore rossastro”. Raynier
de Larchant della diocesi di Sens lo descrisse come “una testa barbuta terrificante che tutti baciavano e veneravano come
loro Salvatore”. Anche per Hugues de
Bure l’idolo era una testa, “ la testa
veniva tirata fuori da un contenitore che si trovava nella cappella, era una
testa molto pallida e scolorita” . Raul De Gisy, precettore della provincia
della Champagne, davanti ai commissari del papa, confessò che l’aveva vista in
sette capitoli tenuta in mano da Hugues de Pairaud e che veniva da lui
mostrata. Tutti i fratelli dovevano gettarsi a terra per adorarla ed aveva un
aspetto terribile. Lo stesso Hugues de Pairaud interrogato sull’accaduto
confermò che l’idolo lo aveva visto per la prima volta a Montpellier , che
l’aveva adorato e toccato e che a sua volta lui l’aveva consegnato nella mani
di Pierre Allemandi. In questo caso, l’Idolo aveva quattro piedi due davanti e
due dietro.
Durante queste cerimonie di
adorazione dell’idolo, la figura di Gesù Cristo e il simbolo della croce venivano
entrambi disprezzati ed oltraggiati. Questo dimostra che l’idolo non può essere il
mitico sudario in cui fu avvolto il
corpo di Gesù, la cosiddetta Sacra Sindone.
Di Gesù si diceva infatti che era un “ladrone, crocifisso per i suoi peccati”,
un “falso profeta”, nella deposizione
del cavaliere Guido De Ciccica, nel processo di Firenze.
Sempre a Firenze, alcuni
cavalieri affermarono che due grandi precettori dell’Ordine, Guglielmo di Novi
e Giacomo di Montecucco, durante un capitolo a Bologna, dissero che “Gesù non era Dio, che non era morto per la
salvezza delle anime e che bisogna aspettarsi la salvezza solo da una certa
testa posta nella sala capitolare dove duecento e passa frati-templari s’inginocchiavano
davanti ad esso”.
Nel processo siciliano, il
templare francese Galcernd de Teus, davanti ai delegati del Papa, affermò che
le parole d’assoluzione che i capi
facevano al termine dei Capitoli era “ Prego
Dio che perdoni i nostri peccati come li perdonò a Maria Maddalena e al ladrone
che fu messo in croce”, aggiungendo “ il
ladrone di cui si parla nel capitolo, secondo i nostri statuti è tal Gesù o
Cristo che fu crocifisso dagli ebrei perché non era il vero Dio e perché si
definiva anche re dei giudei, il che è un oltraggio al vero dio che sta in
cielo. Longino gli trafisse il costato e subito dopo Gesù si pentì di essersi
definito Dio e chiese perdono”.
In base alle spiegazioni che venivano fornite dai
frati-anziani, delle quali non conosciamo le fonti storiche, e in base agli
Statuti dell’Ordine, era obbligo poi sputare tre volte sul crocifisso rivolgendo
ad esso parole di odio soprattutto durante il Venerdì santo, calpestandolo con
acrimonia, come confessarono il cavaliere Gerard De Passage. e fra’ Gandulfo da
Firenze, detto l’impudico, il quale aggiunse che in seguito a tale atto si
sprigionava per il cavaliere una forza fuori dal comune.
Fra’Pierre des Vaux de Cernay
riguardo al rito di disprezzo nei confronti di Gesù disse “si diceva che il Cristo, nato a Betlemme e che è stato crocifisso a
Gerusalemme, era un malfattore, che Maria Maddalena, sua concubina era stata
sorpresa in adulterio…” Nell’articolo 14 dell’inchiesta romana contro i
Templari ci si spinse oltre, si affermò che i cavalieri adorassero un gatto
durante le loro assemblee e ciò venne confermato nel processo francese dalle deposizioni
di Gaufred de Thatan, Beranrd de Selgues, Bertrand de Silva, Jean de Nèriton. Quest’ultimo
parlò di un gatto dal pelo grigio e pomellato e i fratelli presenti si tolsero il cappuccio chinando
la testa davanti ad esso. Stessa cosa fu ripetuta al processo di Firenze con le
seguenti parole latine “ Et dixit quod
vidit dictum catum stantem in dicto capitulo per oram, et posteà evanuit”.
Per frate Egidius l’idolo
invece aveva un volto cadaverico con capelli crepi e alcune dorature sul collo
e su una parte delle spalle.
Solo in alcuni casi si hanno delle
deposizioni che riguardano il nome dell’idolo chiamato Bafomett. Gli inquisitori
dell’epoca scartarono subito l’ipotesi che quell’enigmatico nome dell’idolo si
riferisse ad una storpiatura del nome del profeta Maometto, ragionando sul
fatto che i mussulmani non adorano il fondatore della loro religione né lo
invocano per ottenere speciali benefici né tantomeno tra loro c’è il culto
delle immagini.
Si aggiunse un altro punto
controverso: i cavalieri, dopo aver adorato l’idolo, erano usi cingerlo con una cordicella con la quale poi
si avvolgevano il corpo nudo, come disse per esempio Pierre de Bonfond. Nel
processo fiorentino saltò fuori che le cordicelle venivano custodite in alcuni
cofanetti che viaggiavano con i templari. Un deposito venne individuato nella
casa del Tempio di Voulaines. C’erano anche idoli bafometici, di piccola dimensione, di rame, sotto forma di
ciondolo. I luoghi dove stavano questi depositi vennero chiamati, ancora una
volta, stranamente, con i termini di Baphomeria, Mahomeria, Momeria.
A conclusione di questo rito,
era obbligo degli iniziati dare alcuni baci al fratello anziano, in bocca,
sull’ombelico e sul sedere, sopra o sotto le vesti, a seconda dei casi.
Questi baci era accompagnati anche da l’ordine di “ accoppiarsi con i fratelli e di sopportare pazientemente chi volesse
farlo”. Veniva poi loro detto che ciò serviva a resistere alle tentazioni
di “andare con le donne e per sopportare
il calore delle terre oltremarine..”
Due parole finali sul
documento di Chinon del 1308. Occorre dire che non smentisce affatto le altri parti documentate dei vari
processi che furono fatti ai Templari.
In quel frangente di tempo è
vero che papa Clemente V° assolse i capi dell’Ordine ma solo dopo che questi
avevano chiesto perdono per aver praticato quei riti blasfemi di cui si parlava
nei vari processi, il che ci dice che le accuse non furono create a tavolino
dal re francese, tanto più che i beni dell’Ordine, come stabilito dal papa con
la Bolla Ad Providam, non andarono
nelle casse del Regno di Francia bensì
in quelle dell’Ordine di San Giovanni (attuale SMOM).
C’è da aggiungere infine che
quattro anni dopo la produzione di quel documento, precisamente nel 1312, anche per il proseguo
delle inchieste che apportavano nuove accuse di crimini dei quali non si era
ancora parlato, il pontefice, sponte sua,
decise di sopprimere l’Ordine, con tanto di Bolla, in maniera perpetua, di autorità e senza una
sentenza definitiva, scomunicando quanti avessero ancora indossato l’abito
templare.
In quanto relapsi, cioè ricaduti
nel reato di eresia, poiché i capi dell’Ordine, primo fra tutti Jacques De
Molay, avevano ritratto le loro
confessioni, e quindi di fatto si erano rimangiati pure le scuse date al pontefice, vennero bruciati sul rogo
in pubblica piazza per ordine del re
cristianissimo Filippo IV° il Bello, il 18 marzo del 1314.
Un caro saluto,
il vostro Michele Allegri