mercoledì 30 maggio 2018

GIOVANNA D'ARCO, L'ERETICA, ICONA DEL PRIORATO DI SION



                                                                                           



Cari amici, bloggers e semplici curiosi

Oggi 30 maggio si ricorda la morte per rogo di una delle figure femminili più apprezzate in Francia, circondata dallo stesso alone di mistero che avvolse i templari. Sto parlando di Giovanna d’Arco, la “pulzella d’Orleans” detta anche “ la vergine di Lorena”. Contadina di quella regione, diventò un celebre simbolo della Francia nel lungo conflitto che la contrappose all’Inghilterra nel corso della Guerra dei Cent’anni (1337-1453). Giovanna d’Arco, pur essendo inesperta di pratiche di armi, guidò un’armata dell’esercito regio francese riportando innumerevoli vittorie (Orleans 1429) e riconquistando molte parti del regno che erano cadute sotto il controllo inglese. Giovanna diceva di sentirsi ispirata direttamente da Dio con il quale parlava regolarmente e dal quale aveva avuto incarico di liberare la Francia, novella Sion. Della sua “missione divina” fece partecipi più di un personaggio celebre, in particolar modo Renato d’Angiò, il buon Renè che fu tanto attratto dal mito dell’Arcadia. Egli fu uno dei personaggi più importanti degli anni del Rinascimento e fu conosciuto anche con il titolo di re di Gerusalemme, in onore della sua discendenza da Goffredo di Buglione. La celebre croce di Lorena o doppia croce che anche molti neotemplari portano sui loro mantelli è il suo stemma araldico. Renato combattè a fianco di Giovanna in molte battaglie e l’accompagnò a Chinon per incontrare il futuro re di Francia Carlo VII, figlio di Iolanda d’Angio, sorella di Renato e futura protettrice di Giovanna.
Due curiosità: secondo i documenti segreti del Priorato di Sion, Renato fu un loro autorevole Gran Maestro mentre Giovanna d’Arco fu incaricata della sua missione contro gli inglesi da re Carlo VII nel celebre castello di Chinon, là dove vennero rinchiusi De Molay e gli alti capi del Tempio a partire dal 1307 fino al 1314. Non dimenticatevi, cari bloggers, che presso la corte di Renato d’Angiò alloggiava stabilmente il nonno di Nostradamus ( Notre Dame), tale Jean de Saint Remy, astrologo, medico e cabalista. Inoltre Renato aveva una coppa in cui vi era la celebre iscrizione: Chi ben berrà, Dio vedrà. Chi berrà tutto di un fiato, vedrà Dio e la Maddalena.
Secondo una leggenda, Giovanna d’Arco arrivata a Chinon per incontrare il re di Francia, lo riconobbe tra centinaia di persone senza che alcuno glielo avesse indicato e si racconta che la contadina di Orleans gli avrebbe svelato la sua appartenenza all’Ordine del Tempio e che lo avrebbe aiutato a liberare la Francia dagli inglesi poiché lui non discendeva da quel Filippo il Bello che aveva bruciato sul rogo gli ultimi capi del Tempio. Se in un primo tempo le battaglie condotte da Giovanna furono vincenti, nel 1430 venne catturata dai borgognoni a Compiègne e consegnata a gli inglesi che, con l’ausilio di un tribunale ecclesiastico, la condannarono al rogo per eresia e stregoneria. Negli atti del processo sta scritto che gli ecclesiastici inglesi l’accusaronono e le rinfacciarono i suoi rapporti con il demonio, con il re del mondo che l’avrebbe ispirata ed aiutata a vincere molte battaglie. Giovanna d’Arco, che fu dichiarata una strega, non ritrattò mai alcunché, dimostrando un coraggio ed una forza particolare che, nemmeno davanti alla pila ardente, venne meno. Solo centinaia di anni più tardi la figura emblematica di Giovanna d’Arco venne riabilitata dalla Chiesa cattolica che da eretica la fece persino santa e martire nel 1920.
Non si può dire che la stessa cosa avvenne o è avvenuta per i templari Jacques De Molay o Geoffray De Charnay, anch’essi bruciati e condannati per eresia e stregoneria. Il mito di Giovanna d’Arco è tutt’oggi vivo in Francia come lo fu molto anche nel 1800, quando un umile sacerdote di campagna, Berengere Sauniere, disse di aver trovato un qualcosa in grado di sconvolgere il mondo e divenne miliardario ed amico di potenti del tempo. La sua casa era piena di immagini dell’eroina francese alla quale il curato era assai devoto. In questo senso non possiamo non pensare al significato della parola Giovanna e al significato della parola Arc.
Infatti, tutti i gran maestri dell’Ordine di Sion, detti anche nocchieri dell’arca, si chiamano con l’appellativo di Giovanni o di Giovanna e la parola Arc rievoca sia l’Arcadia, il mitico paesaggio dell’Ade, sia l’Arca del diluvio universale, quando, secondo leggende antichissime, una particolare razza di uomini con conoscenze avanzate dovette rifugiarsi con il loro re nel sottosuolo, per sfuggire al diluvio, castigo di Dio. Come sappiamo Giovanna non proveniva da nessun paese che si chiamasse Arc ma da Orleans.
Chiudo riportando questo importante documento che spero voi analizzerete: “Il re è nel contempo pastore. Talvolta egli invia qualche geniale ambasciatore al suo vassallo al potere, il suo factotum, che ha la fortuna d’essere soggetto alla morte. Così Renato d’Angiò, il connestabile di Borbone, Nicolas Fouquet…e numerosi altri, la cui sorprendente fortuna fu seguita da un’inspiegabile sfortuna…poiché questi emissari sono nel contempo terribili e vulnerabili. Custodi un segreto, si può soltanto esaltarli o annientarli. Ecco quindi personaggi come Gille de Rais, Leonardo da Vinci, Giuseppe Balsamo, i duchi di Nevers e Gonzaga, la cui ascendenza è circondata da un profumo di magia nel quale lo zolfo si mescola all’incenso: il profumo di Maddalena. Se re Carlo VII, all’ingresso di Giovanna d’Arco nella grande sala del suo castello di Chinon, si nascose tra la folla dei cortigiani, non lo fece per un gioco frivolo bensì perché già sapeva di chi elle era ambasciatrice. E sapeva che, dinnanzi a lei, era poco più di un cortigiano tra i tanti. Il segreto che ella gli rivelò in privato era contenuto in queste parole: “DOLCE SIGNORE, IO VENGO IN NOME DEL RE”…il re perduto che guida il popolo sotterraneo devoto alla Grande Madre.
A voi il calice del simposio!!

Michele Allegri

mercoledì 28 marzo 2018

LA DIETA DEI TEMPLARI



                                                                        





Cari amici, bloggers e semplici curiosi,

lo sapevate che i cavalieri dell’Ordine del Tempio hanno avuto un’aspettativa di vita lunga? Qual è stato il loro segreto, a parte invocare l’idolo Bafometto per avere da lui protezione da ogni tipo d’insidia e malattia?
Questo piccolo segreto stava in un’adeguata forma di nutrimento del corpo, un’alimentazione corretta, sana ed equilibrata, come diremmo oggi.
Seguendo la Regola Latina dell’Ordine, i cavalieri si nutrivano molto di pesce, allevato da loro,  assimilando in questo modo grandi quantità di Omega 3, un naturale antinfiammatorio che contribuisce al buon mantenimento dell’apparato cardio-vascolare. Oltre al pesce c’erano a tavola verdura e legumi con i quali facevano il pieno di proteine, di vitamine e sali minerali ma soprattutto di fibre, indispensabili per un corretto funzionamento dell’intestino, prevenendo malattie pericolose e potenzialmente letali.
Nonostante la dieta praticata in quell’epoca dalle classi agiate,  nobili  ed ecclesiastici del medioevo, basata sul consumo smodato di carne e di cacciagione, i Templari, pur essendo molto ricchi, poiché erano banchieri, mangiavano carne-ma non la cacciagione-solo tre volte alla settimana e solo di provenienza europea. Così facendo, evitavano di contrarre pericolose malattie che colpivano spesso papi e re, come la gotta per esempio.
L’igiene aveva un posto non secondario nella loro vita quotidiana. Si lavavano le mani prima di mangiare e pulivano bene le stoviglie e le tavole imbandite prima e dopo aver desinato.
Per quanto attiene alle bevande, i Templari bevevano vino rosso ma soprattutto vino di palma, che è a bassa gradazione alcolica, arricchito di  aloe, la pianta che “rigenera” i tessuti.
Nella loro acqua da bere poi non mancava mai un disinfettante naturale come il limone e/o l’arancia, apportando così  al loro organismo anche una certa quantità di vitamina C e di licopene, un potente antiossidante ed evitando così di avere un’altra grave malattia dell’epoca, lo scorbuto.

Infine, è bene non dimenticare che i Templari, appartenendo ad un Ordine militare, consideravano indispensabile l'allenamento fisico quotidiano, per esprimere al meglio la loro capacità di lotta in battaglia.

Così facendo il Gran Maestro Jacques De Molay arrivò alla veneranda età di 71 anni. Sicuramente sarebbe andato ben oltre  questo traguardo se non fosse incappato nell’ira di Papa Clemente V° che lo lasciò nelle mani del braccio secolare del re cristianissimo Filippo IV° il Bello ,che lo bruciò come eretico impenitente a Parigi, in pubblica piazza, il 18 Marzo del 1314.

Buona Pasqua 2018 a tutti!!




lunedì 12 marzo 2018

LA DOTTRINA SEGRETA DEI TEMPLARI




                                                  


Cari amici, bloggers e semplici curiosi,

per conoscere la vera storia dei Templari non si può prescindere da uno studio rigoroso dei documenti storici.
Ed è  proprio analizzando questi incartamenti che  risulta chiaro l’esistenza di una dottrina segreta, con ogni probabilità sviluppatasi in contemporanea alla nascita della Milizia nel lontano 1118. Tutto ciò ci deve spingere a pensare che in questa Istituzione cavalleresca la deviazione dall’originale dottrina cattolica, a cui la Regola ufficiale dei Templari si uniformava sin dal 1128, sia stata portata dai nobili fondatori dell’Ordine.
Infatti è bene non dimenticare che in quell’epoca le distinzioni sociali erano di primaria importanza ed erano fondate sul sangue, anche all’interno dell’Ordine templare. C’erano infatti i nobili, principi, duchi, conti e baroni, con le loro casate blasonate, con la loro legittimazione dinastica, e poi c’erano i cavalieri , i combattenti, spesso con un passato burrascoso alle spalle. I capi dell’Ordine furono sempre  “di sangue blu”, imparentati con questa o quella casa regnante d’Europa, anche se si può ben dire che i Templari agirono sempre per il loro interesse che non sempre coincideva con quello delle casate europee o della Santa Sede, in quel tempo impegnate in un’aspra lotta contro “gli infedeli” mussulmani. Come non ricordare a proposito le parole di Federico II, imperatore del Sacro Romano Impero e re di Gerusalemme, “ cresciuti tra le delizie dei baroni d’Oriente, I templari, pieni di orgoglio, hanno ricevuto in pompa magna nell’Ordine diversi sultani..”.
In Inghilterra, come in altre parti d’Europa, presso quei popoli, i Templari non godevano di una grande nomea, forse per la loro attività bancaria, in molti casi, usuraia. Alcuni detti popolari, quali “bere  come un templare” o “state in guardia dal bacio dei Templari” erano di uso comune e manifestavano questo distacco dalla gente.
Dei processi che si svolsero dopo l’arresto dei Templari nel 1307 in Francia, conosciamo bene quello di Carcassonne e quello di Firenze. Leggendo i verbali degli interrogatori di entrambi i processi, si evidenzia uno stesso tipo di “dottrina segreta”, occultata dietro la religione ufficiale, quella cattolica, e prescritta da alcuni Statuti  in vigore all’interno dell’Ordine che non sono mai stati però ritrovati.
E’ bene ricordare che , ad eccezione del documento di Chinon del 1308, ritrovato nell’Archivio Segreto vaticano nel 2001, e del quale si è data un’interpretazione assolutamente fuorviante, presso la Santa Sede non vi sono gli atti del processo ai Templari del 1307 ma solo un’inchiesta fatta dall’arcivescovo di Pisa e da quello di Firenze del 1310 che contiene 26 fogli. Poi ci sono dieci rotoli delle diverse inchieste fatte sui Templari per ordine di Papa Clemente nell’isola di Cipro, nel ducato di Urbino e in diverse città francesi e italiane.
Nelle carte del processo fiorentino, e solo in quello, si trova il nome dell’idolo adorato dai Templari, definito dai cavalieri nelle  loro dichiarazioni spontanee con il termine di Magunet.
Molti furono i crimini imputati ai Templari ai quali tentarono di dare una risposta i domenicani della Santa Inquisizione e i commissari speciali voluti da papa Clemente V° il quale, è bene ricordare, nella bolla di scioglimento dell’Ordine, nel 1312, scrisse “alcuni dei Templari hanno confessato altri crimini orribili ed osceni su cui per ora taceremo”.  Oltre infatti a quelli noti ,di cui parlerò in seguito, non si seppe mai di quali altri “crimini” erano stati imputati i Templari.
A questo punto quindi non rimane che  fare un focus sulle confessioni dei Templari, alcune estorte sotto tortura, per esempio a Parigi, come era uso fare per gli eretici,  altre, invece,  senza l’ausilio di essa, come per esempio avvenne a Poitiers, a Firenze, a Carcassonne, in Sicilia, a Brindisi, a Ravenna, a Pisa, in Inghilterra o in Germania.
La verità storica che emerge nella comparazione di  tutti questi verbali ci dimostra che i cavalieri raccontavano quasi le stesse cose sia che fossero stati posti sotto tortura o no. Parlarono delle iniziazioni notturne fatte a porte chiuse dove si svolgevano dei riti dei quali nessuno avrebbe dovuto parlare al di fuori dell’Ordine, pena la morte.  I contenuti di quei riti riguardavano l’insulto alla figura di Gesù e alla croce, simbolo del cristianesimo, una serie di “baci osceni”, l’adorazione di un idolo considerato l’immagine del vero Salvatore, l’omissione delle parole sacramentali durante la messa, il diritto del Gran Maestro  di concedere l’assoluzione per i peccati (secondo gli articoli 107 e 108 dell’atto di accusa francese, confermato nel processo di Firenze), l’autorizzazione di crimini contro natura.
L’indagine svolta fece emergere che tali pratiche erano contemplate in uno Statuto dell’Ordine che il cavaliere Gèrard De Caus dichiarò “non a disposizione dei fratelli”.
A Firenze il primo testimone affermò che l’adorazione dell’idolo era un rituale osservato nell’intero Ordine e che c’erano idoli in tutte le sale capitolari. In Francia il 104° testimone, Raynal De Bergeron, disse ai commissari pontifici che lo svolgimento di queste pratiche erano comandate dall’alto in quanto precetto. Gerard De La Roche, 106° testimone dichiarò che chi si rifiutava di svolgere queste pratiche di rinnegamento della figura di Gesù o non voleva sputare sulla croce, veniva picchiato o incarcerato, nella migliori delle ipotesi. Il Templare Gervais de Beauvais, rettore della casa del Tempio di Laon, disse che nella sala capitolare c’era una cosa così segreta
( quidum punctus adeo secretus) che per sua sfortuna qualcuno l’avesse per caso vista, bisognava ucciderlo, anche se fosse stato il re di Francia. Aggiunse che c’era un libricino segreto che non avrebbe consentito  mostrare a nessuno al mondo.
A questo punto appare chiaro che vi era una “dottrina segreta” non divulgabile al di fuori dell’Ordine perché chiaramente “eretica”.
Fulcro di questa “dottrina segreta”, in base a questa testimonianze processuali, è una sorta di rozzo dualismo, la considerazione per i Templari, almeno per i capi dell’Ordine, la cui visione era imposta poi ai subordinati, che vi erano due  divinità distinte ma legate tra di loro.
Il Templare Jean de Sarnage  a questo proposito, rendendo testimonianza disse che  come recitavano gli Statuti dell’Ordine, non bisognava  credere in Gesù perché era stato un falso profeta, senza alcun potere di salvezza ed invece bisognava credere ad un Dio Superiore, quello che sta nei cieli.” La stessa affermazione la fece Foulques de Troyes il quale aggiunse che “non bisognava dare attenzione a Gesù in quanto troppo giovane”.
Contemporaneamente a questa considerazione per il “Dio che sta in cielo” i frati-anziani spiegavano ai giovani l’importanza che un particolare idolo aveva per l’Ordine, definito nella deposizione del cavaliere Raoul De Gisy col termine Maufe, cioè demone. Secondo Pierre de Moncade, “l’idolo era un demone dell’inferno”, mentre per Jean de Cassaignes,  il cavaliere che fu interrogato nel processo di Carcassonne,  era il principe del mondo”. Quest’ultimo aggiunse che durante la sua iniziazione gli venne detto che questo idolo di bronzo, di forma umana, rivestito di una sorta di dalmatica  è amico di Dio, che dialoga con Dio e che bisogna rendergli grazie per il bene che fa e per i desideri che esaudisce”.  L’idolo infatti veniva considerato  come il protettore dell’Ordine, un benefattore che poteva arricchire la Milizia, far “fiorire gli alberi e germogliare la terra”, come disse Bernardo da Parma nel processo di Firenze. Deposizione confermata poi da Jacopo da Pigazzano e da Nicolas Règinus che aggiunsero che all’idolo ci si rivolgeva con rispetto, con la seguente formula “Deus adjuva me”.  
La definizione di quale fosse la forma dell’idolo però trova tanti punti discordanti tra le varie deposizione dei cavalieri.
Jean Taillefer de Gene, entrato nel Priorato di Mormant, per esempio disse di aver visto “un idolo posato sull’altare che era di colore rossastro”. Raynier de Larchant della diocesi di Sens lo descrisse come “una testa barbuta terrificante che tutti baciavano e veneravano come loro Salvatore”.  Anche per Hugues de Bure l’idolo era una testa, “ la testa veniva tirata fuori da un contenitore che si trovava nella cappella, era una testa molto pallida e scolorita” . Raul De Gisy, precettore della provincia della Champagne, davanti ai commissari del papa, confessò che l’aveva vista in sette capitoli tenuta in mano da Hugues de Pairaud e che veniva da lui mostrata. Tutti i fratelli dovevano gettarsi a terra per adorarla ed aveva un aspetto terribile. Lo stesso Hugues de Pairaud interrogato sull’accaduto confermò che l’idolo lo aveva visto per la prima volta a Montpellier , che l’aveva adorato e toccato e che a sua volta lui l’aveva consegnato nella mani di Pierre Allemandi. In questo caso, l’Idolo aveva quattro piedi due davanti e due dietro.
Durante queste cerimonie di adorazione dell’idolo, la figura di Gesù  Cristo e il simbolo della croce venivano entrambi disprezzati ed oltraggiati.  Questo dimostra che l’idolo non può essere il mitico sudario in cui  fu avvolto il corpo di Gesù, la cosiddetta Sacra Sindone.
Di  Gesù si diceva infatti che era un “ladrone, crocifisso per i suoi peccati”, un “falso profeta”, nella deposizione del cavaliere Guido De Ciccica, nel processo di Firenze.
Sempre a Firenze, alcuni cavalieri affermarono che due grandi precettori dell’Ordine, Guglielmo di Novi e Giacomo di Montecucco, durante un capitolo a Bologna, dissero che “Gesù non era Dio, che non era morto per la salvezza delle anime e che bisogna aspettarsi la salvezza solo da una certa testa posta nella sala capitolare dove duecento e passa frati-templari s’inginocchiavano davanti ad esso”.
Nel processo siciliano, il templare francese Galcernd de Teus, davanti ai delegati del Papa, affermò che le parole d’assoluzione  che i capi facevano al termine dei Capitoli era “ Prego Dio che perdoni i nostri peccati come li perdonò a Maria Maddalena e al ladrone che fu messo in croce”, aggiungendo “ il ladrone di cui si parla nel capitolo, secondo i nostri statuti è tal Gesù o Cristo che fu crocifisso dagli ebrei perché non era il vero Dio e perché si definiva anche re dei giudei, il che è un oltraggio al vero dio che sta in cielo. Longino gli trafisse il costato e subito dopo Gesù si pentì di essersi definito Dio e chiese perdono”.
In  base alle spiegazioni che venivano fornite dai frati-anziani, delle quali non conosciamo le fonti storiche, e in base agli Statuti dell’Ordine, era obbligo poi sputare tre volte sul crocifisso rivolgendo ad esso parole di odio soprattutto durante il Venerdì santo, calpestandolo con acrimonia, come confessarono il cavaliere Gerard De Passage. e fra’ Gandulfo da Firenze, detto l’impudico, il quale aggiunse che in seguito a tale atto si sprigionava per il cavaliere una forza fuori dal comune.
Fra’Pierre des Vaux de Cernay riguardo al rito di disprezzo nei confronti di Gesù disse “si diceva che il Cristo, nato a Betlemme e che è stato crocifisso a Gerusalemme, era un malfattore, che Maria Maddalena, sua concubina era stata sorpresa in adulterio…” Nell’articolo 14 dell’inchiesta romana contro i Templari ci si spinse oltre, si affermò che i cavalieri adorassero un gatto durante le loro assemblee e ciò venne confermato nel processo francese dalle deposizioni di Gaufred de Thatan, Beranrd de Selgues, Bertrand de Silva, Jean de Nèriton. Quest’ultimo parlò di un gatto dal pelo grigio e pomellato e  i fratelli presenti si tolsero il cappuccio chinando la testa davanti ad esso. Stessa cosa fu ripetuta al processo di Firenze con le seguenti parole latine “ Et dixit quod vidit dictum catum stantem in dicto capitulo per oram, et posteà evanuit”.
Per frate Egidius l’idolo invece aveva un volto cadaverico con capelli crepi e alcune dorature sul collo e su una parte delle spalle.
Solo in alcuni casi si hanno delle deposizioni che riguardano il nome dell’idolo chiamato Bafomett.  Gli inquisitori dell’epoca scartarono subito l’ipotesi che quell’enigmatico nome dell’idolo si riferisse ad una storpiatura del nome del profeta Maometto, ragionando sul fatto che i mussulmani non adorano il fondatore della loro religione né lo invocano per ottenere speciali benefici né tantomeno tra loro c’è il culto delle immagini.
Si aggiunse un altro punto controverso: i cavalieri, dopo aver adorato l’idolo, erano usi  cingerlo con una cordicella con la quale poi si avvolgevano il corpo nudo, come disse per esempio Pierre de Bonfond. Nel processo fiorentino saltò fuori che le cordicelle venivano custodite in alcuni cofanetti che viaggiavano con i templari. Un deposito venne individuato nella casa del Tempio di Voulaines. C’erano anche idoli bafometici, di piccola dimensione, di rame, sotto forma di ciondolo. I luoghi dove stavano questi depositi vennero chiamati, ancora una volta, stranamente,  con i termini di Baphomeria, Mahomeria, Momeria.
A conclusione di questo rito, era obbligo degli iniziati dare alcuni baci al fratello anziano, in bocca, sull’ombelico e sul sedere, sopra o sotto le vesti, a seconda dei casi.
Questi baci era accompagnati  anche da l’ordine di “ accoppiarsi con i fratelli e di sopportare pazientemente chi volesse farlo”. Veniva poi loro detto che ciò serviva a resistere alle tentazioni di “andare con le donne e per sopportare il calore delle terre oltremarine..

Due parole finali sul documento di Chinon del 1308. Occorre dire che non smentisce  affatto le altri parti documentate dei vari processi che furono fatti ai Templari.
In quel frangente di tempo è vero che papa Clemente V° assolse i capi dell’Ordine ma solo dopo che questi avevano chiesto perdono per aver praticato quei riti blasfemi di cui si parlava nei vari processi, il che ci dice che le accuse non furono create a tavolino dal re francese, tanto più che i beni dell’Ordine, come stabilito dal papa con la Bolla Ad Providam, non andarono nelle  casse del Regno di Francia bensì in quelle dell’Ordine di San Giovanni (attuale SMOM).
C’è da aggiungere infine che quattro anni dopo la produzione di quel documento,  precisamente nel 1312, anche per il proseguo delle inchieste che apportavano nuove accuse di crimini dei quali non si era ancora parlato, il pontefice, sponte sua, decise di sopprimere l’Ordine, con tanto di Bolla,  in maniera perpetua, di autorità e senza una sentenza definitiva, scomunicando quanti avessero ancora indossato l’abito templare.
In quanto relapsi, cioè ricaduti nel reato di eresia, poiché i capi dell’Ordine, primo fra tutti Jacques De Molay,  avevano ritratto le loro confessioni, e quindi di fatto si erano rimangiati pure le scuse  date al pontefice, vennero bruciati sul rogo in pubblica piazza per ordine del  re cristianissimo Filippo IV° il Bello, il 18 marzo del 1314.

Un caro saluto,

il vostro Michele Allegri



mercoledì 17 gennaio 2018

17 GENNAIO, LA FESTA DEL PRIORATO DI SION…


                                                             



Cari amici, bloggers e semplici curiosi,

il 17 Gennaio è la data per antonomasia del Priorato di Sion.
Coperta per convenienza dietro la festa in onore di San Sulpicio o di Sant’Antonio, ci sta il giorno dedicato ad Odino, la divinità pagana dei popoli del Nord Europa festeggiata appunto il 17 di Gennaio. La sua figura è associata all’interpretazione delle rune,  alla sapienza e all’ispirazione poetica. La metrica mentale dei membri del Priorato di Sion infatti si basa su tre elementi fondamentali: la magia, la gnosi, l’ispirazione artistica.
Ovviamente il dio di riferimento del Priorato non è Odino ma questo dio pagano assume caratteristiche molto simili alla Vera Divinità occultata ed adorata durante le conventicole.
La Chiesa cattolica ha scelto poi appositamente questa data per il dialogo con Sion, con Israele e la sua Comunità.
Il significato invece della parola SION del Priorato non si riferisce ad Israele e alla sua comunità.  Si tratta della parola inglese SCION che vuol dire  germoglio, discendenza ed ancora meglio “rampollo”.
Non dimenticate mai cosa diceva l’abate Boudet nel suo libro “La Vera Lingua Celtica”. Questo prete era convinto che la vera lingua dei Celti fosse l’inglese moderno. Infatti per scoprire molti dei Segreti del Priorato bisogna usare la lingua inglese, “nel verso giusto” però.
E non bisogna trascurare quali tipi di “sacrifici” facessero i Celti nell' area di Rennes- Le-Chateau e nelle zone limitrofe, anche distanti dalla chiesetta di Saunière 100 km circa...
Non è un caso che molti esoteristi si rechino in quei luoghi e in particolar modo  presso il Pic de Bugarach e/o presso il castello d’Opoul là dove in alcune notti dell’anno, in particolare il 17 gennaio, comparirebbe la misteriosa figura di Melusina,  metà donna e metà serpente, antenata dei Lusignano, signori di Gerusalemme in Terra Santa…

Buon 17 Gennaio a tutti voi!