martedì 24 gennaio 2023

LICIO GELLI: DUE VOLTE PARTIGIANO!



                                                               

Chi fu veramente Licio Gelli, Maestro Venerabile della Loggia massonica coperta Propaganda 2, all’Oriente di Roma del Grande Oriente d’Italia? Un legionario filo-franchista? Un funzionario del partito nazionale fascista? Un ufficiale di collegamento con le SS tedesche? Un partigiano antifascista? Un funzionario del partito monarchico? Un portaborse parlamentare democristiano? Un libraio? Un dirigente d’azienda? Un industriale? Un commendatore della Repubblica? Un banchiere senza licenza? Si, fu tutto questo ma non solo.

                                                               

                                                        tessera di Licio Gelli

Il grande giornalista Indro Montanelli, dopo averlo incontrato all’Hotel Excelsior di Roma, lo definì “un magliaro”, per il costruttore romano Remo Orlandini, braccio destro del principe Junio Valerio Borghese, era semplicemente “un truffaldino”, per il biografo Gianfranco Piazzesi era “un opportunista, sempre al servizio di chi poteva pagare di più”.  Il capo dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale, il prefetto Federico Umberto D’Amato, iscritto alla loggia P2, lo chiamava “il fetentone-furbacchione”, per il generale Ambrogio Viviani, anch’egli presente nel piè di lista del loggione, era invece nientepopodimeno che un agente segreto della Repubblica popolare e comunista della Romania.

                                                                 

                                                 Il Prefetto Federico Umberto D'Amato

Da dove nasceva questa convinzione del capo del controspionaggio del servizio segreto militare?

                                                                

                                                       Il generale Ambrogio Viviani

Da due avvenimenti in particolare, annotati dal generale Viviani sul fascicolo intestato a Licio Gelli e depositato presso il servizio segreto. Gelli era stata registrato durante un meeting con uomini di affari arabi all’Hotel Hassler mentre si dichiarava un agente segreto internazionale di alto livello con entrature nei regimi dell’Est. Il secondo avvenimento riguardava una serie di traffici avviati da Gelli con la Romania comunista, pare una serie di commerci in vestiti e tessuti, legati all’attività della società Giole di cui era azionista, che lo misero in contatto con il conducator Nicolae Ceausescu e sua moglie Elena, Ministro della Repubblica popolare.

                                                                

                                               Il dittatore comunista rumeno Ceausescu

Quelle note informative di Viviani avevano poi costituito le basi di un rapporto dell’ufficio I della Guardia di Finanza che riguardava, appunto, quelle strane attività commerciali intraprese da Gelli con uno Stato che faceva parte del Patto di Varsavia. Gelli, inoltre, in virtù della sua carica di consigliere economico dell’Ambasciata argentina a Roma, si era occupato di stringere accordi commerciali tra l’Argentina e la Romania comunista. Era riuscito a convincere Juan Domingo Peron ad inviare in Romania tonnellate di derrate di grano prodotte nella Pampa. Molti anni più tardi, il commendatore Gelli dette la sua versione di quei fatti: “In Romania avevamo allestito una scuola che impegnava 40 operai italiani in veste di insegnanti. Impiantammo una serie di laboratori per la produzione di abiti, da confezionare in esclusiva per la società Lebole. I capi prodotti in Romania erano spediti ad Arezzo e di qui distribuiti in tutto il mondo con etichetta Made in Italy sul cartellino. Questa attività era il frutto di un accordo commerciale che la società Giole, titolare del marchio Lebole, aveva sottoscritto col governo romeno, grazie all’interessamento del dottor Ciobanu, dell’Ambasciata rumena di Roma che io avevo conosciuto nel 1973 all’Hotel Hassler di Roma”.

                                                               

                                               Licio Gelli insignito da Juan Domingo Peron

Fin dalla fine della seconda guerra mondiale, Licio Gelli era attenzionato dal SIFAR, il servizio segreto delle forze armate. Nel casellario politico-centrale, Gelli era considerato dal Ministero dell’Interno un pericoloso sovversivo, passato dalla militanza fascista a quella comunista, tanto da essere sospettato di svolgere attività spionistica a favore dei regimi comunisti dell’Est Europa. Gli agenti del SIFAR lo avevano seguito, notte e giorno, a piedi e in auto, mentre Gelli percorreva l’Italia da Nord a Sud, facendo 1.000 km al giorno, a bordo di un’auto sportiva. I suoi spostamenti, i suoi incontri con altre persone, le sue abitudini quotidiane e persino il suo vestiario furono annotate in un rapporto del 1950 chiamato Cominform, dal nome dell’Ufficio Informazione Internazionale, con sede a Bucarest, in Romania, che aveva lo scopo di allineare i partiti comunisti ai diktat di quello russo e di fare attività di intelligence nei Paesi occidentali. Il rapporto Cominform nacque nell’ufficio romano del SIFAR che trasmise alla sede centrale un’informativa proveniente da un “organo collaterale che ha segnalato quale agente del Cominform tale Gelli di Pistoia” il quale aveva aperto una libreria in Piazza Gramsci, 52 con lo scopo di scambiare informazioni segrete con altri agenti comunisti, si legge nel rapporto.

                                                                   

Molti anni più tardi, precisamente nel 1981, questo dossier arrivò sul tavolo della Commissione parlamentare sulla P2, presieduta dall’onorevole Tina Anselmi, dopo essere stato pubblicato, il 2 Gennaio del 1979, sulla rivista OP (Osservatorio Politico) diretta dal giornalista Mino Pecorelli, tessera P2 numero 1750. Con l’articolo dal titolo Due volte partigiano, una parte dei contenuti del fascicolo Cominform, pervenuto al Pecorelli dal tenente colonello piduista Antonio Viezzer, venne pubblicato con lo scopo di mandare a Gelli un segnale di avvertimento.

                                                                          

                                                   Copertina di OP sulla Gran Loggia Vaticana


Come si legge nell’informativa del SIFAR “Gelli è legato al partito comunista fin dal 1944. Dal 1947 è agente dei servizi segreti dell’Est, mascherando questa attività dietro quella di libraio, industriale, commerciante di filati e di rame; Il nominativo segnalato è uno dei più pericolosi elementi che operano nella ottava zona alle dirette dipendenze del partito comunista. Ha tutte le prerogative classiche per esplicare le mansioni che gli sono state affidate per conto dei rossi. Veste elegantemente con un soprabito marrone a doppio petto (sei bottoni), porta sempre sciarpa di seta sopra il soprabito di color blu a fiori leggermente pallidi, cravatta chiara, giacca marrone, pantaloni lunghi, di eguale colore. Il Gelli spende somme di denaro notevoli in cose del tutto superflue, circa 10.000 lire al giorno e non è possibile capacitarsi di tale reddito. Per ottenere il passaporto si è iscritto alla Democrazia Cristiana, al partito monarchico e al Movimento Sociale Italiano…”. Secondo il rapporto Cominform, Gelli era la persona più qualificata per diventare una spia dei comunisti “per le sue qualità di traditore specifico, per i suoi meriti di delinquente, per le sue caratteristiche di mobilità”. Nella scheda si fa poi riferimento ad un appartamento acquistato a Riccione e intestato al figlio Raffaello. Al rapporto furono aggiunti altri particolari nel 1973 quando Gelli venne indicato come agente dei servizi segreti ungheresi (A.V.H.), fin dal 1964.

                                                                        


Mino Pecorelli aveva però arricchito il suo articolo di altri particolari, provenienti da altri rapporti d’intelligence. Accennò “ad un lungo elenco di nomi che qualcuno un giorno aveva tradito”, facendo riferimento alla lista di quei 56 fascisti che Gelli avrebbe tradito sul finire della guerra, quando Gelli era stato collaboratore dei comunisti durante le ultime fasi della seconda guerra mondiale, dopo essere stato catturato dai partigiani l’8 settembre del 1944 mentre accompagnava una pattuglia di soldati neozelandesi. Gelli, infatti, fu salvato dal plotone di esecuzione comandato dai partigiani, grazie all’intervento del comunista Cesare Andreini e di Osvaldo Gori, nipote del capo partigiano comunista Giuseppe Corsini con il quale Gelli ebbe in seguito incontri e rapporti epistolari. Un altro esponente della resistenza comunista toscana, Italo Carobbi, firmò nel 1947 un documento nel quale elogiava la figura di Licio Gelli come collaboratore dei partigiani, ordinando il suo trasferimento a Firenze. 

                                                               

                             documento rilasciato dal capo partigiano comunista Italo Carobbi a Licio Gelli

Nel libro A carte scoperte lo storico Renato Risaliti scrive che Gelli fu anche accompagnato a Roma per incontrare un certo Ercoli, dietro il cui pseudonimo si celava il nome del segretario del PCI, Palmiro Togliatti. In quell’occasione, “Togliatti parlò con Gelli. Lo stimolò a raffinare la sua enorme capacità di entrare in tutti gli ambienti”. Nel 2006, Gelli confessò al giornalista Sandro Neri di aver incontrato Togliatti su richiesta del capo partigiano comunista Carobbi. Risaliti era convinto che a Pistoia, già a partire degli anni Trenta, ci fosse una cellula informativa comunista che era posto al di fuori del controllo del partito e che avrebbe reclutato il Gelli, portandolo in dote ai servizi segreti dell’Est.