lunedì 5 febbraio 2007

GIOVANNA D'ARCO, I TEMPLARI E IL RE PERDUTO

Cari bloggers ed amici ben ritrovati.
Come avrete notato, nel precedente post abbiamo fatto un’opera di bonifica di tutti commenti meno ragionevoli. D’ora in avanti, infatti, chi vorrà intervenire lo potrà fare, aggiungendo commenti che dovranno necessariamente essere pacati, ragionevoli, rispettosi e non arroganti e, soprattutto, veritieri e con queste ultime due parole mi rivolgo agli ammantellati ed affratellati templari smile che credono di modificare la storia a loro piacimento e pensano di appartenere, in Italia, a legittimi ordini cavallereschi, sovrani e militari, riconosciuti da particolari enti o in via di riconoscimento. Non voglio una quantità abnorme di interventi ne voglio anche pochi, purchè siano intelligenti e di qualità e, dal nostro pubblico, so che posso aspettarmeli.
Veniamo, invece, al nuovo argomento che vi sto per lanciare. Se c’è un merito, un pregio da riconoscere alle varie Osservanze neotemplari è quello di aver aperto le porte alle donne. In questo gesto si mescolano due elementi tradizionali: uno storico ed uno, diciamo, ideologico. Dovete sapere, cari bloggers, che tra i cavalieri del Tempio, prima dell’anno 1128 che segna la subordinazione dell’Ordine alla Chiesa cattolica, c’erano persino donne. Non molte ma ce ne erano, alcune animate anche da un reale spirito combattivo. L’altro elemento si rifà alla grande venerazione che i templari avevano, in generale, per le figure femminili e che si era affermata in particolare dopo l’assorbimento di cavalieri catari provenienti dalla zona dell’Occitania . Una devozione religiosa che si esplicava nei confronti della figura di Nostra Signora, la Grande Madre delle culture europee precristiane, e che finiva per assorbire in sé più significati diversi: la conoscenza (sophia), la morte e l’amore. Non è un caso, infatti, che sul territorio francese si trovino dislocate un po’ ovunque statue di Madonne nere che ricordano il culto lunare della dea egiziana Iside, la vedova regina dell’oltretomba, dell’Ade (Aude), e che proprio nel sud della Francia si sia sviluppata una cavalleria dedita alla ricerca della sapienza ultima (Queste du Graal) che venne anche detta cavalleria dell’amor cortese.
Una delle figure femminili più apprezzate in Francia, circondata dallo stesso alone di mistero che avvolse i templari, fu quella di Giovanna d’Arco, la “pulzella d’Orleans” detta anche “ la vergine di Lorena”. Contadina di quella regione, diventò un celebre simbolo della Francia nel lungo conflitto che la contrappose all’Inghilterra nel corso della Guerra dei Cent’anni (1337-1453). Giovanna d’Arco, pur essendo inesperta di pratiche di armi, guidò un’armata dell’esercito regio francese riportando innumerevoli vittorie (Orleans 1429) e riconquistando molte parti del regno che erano cadute sotto il controllo inglese. Giovanna diceva di sentirsi ispirata direttamente da Dio con il quale parlava regolarmente e dal quale aveva avuto incarico di liberare la Francia, novella Sion. Della sua “missione divina” fece partecipi più di un personaggio celebre, in particolar modo Renato d’Angiò, il buon Renè che fu tanto attratto dal mito dell’Arcadia. Egli fu uno dei personaggi più importanti degli anni del Rinascimento e fu conosciuto anche con il titolo di re di Gerusalemme, in onore della sua discendenza da Goffredo di Buglione. La celebre croce di Lorena o doppia croce che anche molti neotemplari portano sui loro mantelli è il suo stemma araldico. Renato combattè a fianco di Giovanna in molte battaglie e l’accompagnò a Chinon per incontrare il futuro re di Francia Carlo VII, figlio di Iolanda d’Angio, sorella di Renato e futura protettrice di Giovanna.
Due curiosità: secondo i documenti segreti del Priorato di Sion, Renato fu un loro autorevole Gran Maestro mentre Giovanna d’Arco fu incaricata della sua missione contro gli inglesi da re Carlo VII nel celebre castello di Chinon, là dove vennero rinchiusi De Molay e gli alti capi del Tempio a partire dal 1307 fino al 1314. Non dimenticatevi, cari bloggers, che presso la corte di Renato d’Angiò alloggiava stabilmente il nonno di Nostradamus ( Notre Dame), tale Jean de Saint Remy, astrologo, medico e cabalista. Inoltre Renato aveva una coppa in cui vi era la celebre iscrizione: Chi ben berrà, Dio vedrà. Chi berrà tutto di un fiato, vedrà Dio e la Maddalena.
Secondo una leggenda, Giovanna d’Arco arrivata a Chinon per incontrare il re di Francia, lo riconobbe tra centinaia di persone senza che alcuno glielo avesse indicato e si racconta che la contadina di Orleans gli avrebbe svelato la sua appartenenza all’Ordine del Tempio e che lo avrebbe aiutato a liberare la Francia dagli inglesi poiché lui non discendeva da quel Filippo il Bello che aveva bruciato sul rogo gli ultimi capi del Tempio. Se in un primo tempo le battaglie condotte da Giovanna furono vincenti, nel 1430 venne catturata dai borgognoni a Compiègne e consegnata a gli inglesi che, con l’ausilio di un tribunale ecclesiastico, la condannarono al rogo per eresia e stregoneria. Negli atti del processo sta scritto che gli ecclesiastici inglesi l’accusaronono e le rinfacciarono i suoi rapporti con il demonio, con il re del mondo che l’avrebbe ispirata ed aiutata a vincere molte battaglie. Giovanna d’Arco non ritrattò mai alcunché, dimostrando un coraggio ed una forza particolare che, nemmeno davanti alla pila ardente, venne meno. Solo centinaia di anni più tardi la figura emblematica di Giovanna d’Arco venne riabilitata dalla Chiesa cattolica che la fece persino santa e martire.
Non si può dire che la stessa cosa avvenne o è avvenuta per i templari Jacques De Molay o Geoffray De Charnay, anch’essi bruciati e condannati per eresia e stregoneria. Il mito di Giovanna d’Arco è tutt’oggi vivo in Francia come lo fu molto anche nel 1800, quando un umile sacerdote di campagna, Berengere Sauniere, disse di aver trovato un qualcosa in grado di sconvolgere il mondo e divenne miliardario ed amico di potenti del tempo. La sua casa era piena di immagini dell’eroina francese alla quale il curato era assai devoto. In questo senso non possiamo non pensare al significato della parola Giovanna e al significato della parola Arc.
Infatti, tutti i gran maestri dell’Ordine di Sion, detti anche nocchieri dell’arca, si chiamano con l’appellativo di Giovanni o di Giovanna e la parola Arc rievoca sia l’Arcadia, il mitico paesaggio dell’Ade, sia l’Arca del diluvio universale, quando, secondo leggende antichissime, una particolare razza di uomini con conoscenze avanzate dovette rifugiarsi con il loro re nel sottosuolo, per sfuggire al diluvio, castigo di Dio. Come sappiamo Giovanna non proveniva da nessun paese che si chiamasse Arc ma da Orleans.
Chiudo riportando questo importante documento che spero voi analizzerete: “Il re è nel contempo pastore. Talvolta egli invia qualche geniale ambasciatore al suo vassallo al potere, il suo factotum, che ha la fortuna d’essere soggetto alla morte. Così Renato d’Angiò, il connestabile di Borbone, Nicolas Fouquet…e numerosi altri, la cui sorprendente fortuna fu seguita da un’inspiegabile sfortuna…poiché questi emissari sono nel contempo terribili e vulnerabili. Custodi un segreto, si può soltanto esaltarli o annientarli. Ecco quindi personaggi come Gille de Rais, Leonardo da Vinci, Giuseppe Balsamo, i duchi di Nevers e Gonzaga, la cui ascendenza è circondata da un profumo di magia nel quale lo zolfo si mescola all’incenso: il profumo di Maddalena. Se re Carlo VII, all’ingresso di Giovanna d’Arco nella grande sala del suo castello di Chinon, si nascose tra la folla dei cortigiani, non lo fece per un gioco frivolo bensì perché già sapeva di chi elle era ambasciatrice. E sapeva che, dinnanzi a lei, era poco più di un cortigiano tra i tanti. Il segreto che ella gli rivelò in privato era contenuto in queste parole: “DOLCE SIGNORE, IO VENGO IN NOME DEL RE”…il re perduto che guida il popolo sotterraneo devoto alla Grande Madre.
A voi il calice del simposio!!

Dott. Michele Allegri