Care/i
amiche/i, bloggers e semplici curiose/i,
il materiale
documentale inerente ai vari processi intentati contro i Templari tra il 1307 e
il 1310, per ordine di Papa Clemente V, apre uno squarcio sulla dottrina religiosa
dell’Ordine, come ben si evidenzia nei rituali delle iniziazioni dei neofiti che
si svolgevano sempre a notte fonda. In particolare, oggi, tratterò dei dogmi
che l’Ordine del Tempio professava nei confronti della figura di Gesù Cristo e del
simbolo del crocifisso.
A tal
proposito, è bene non dimenticare che l’Ordine templare dipendeva gerarchicamente
dal pontefice regnante della Chiesa cattolica apostolica e romana e che i suoi membri
erano monaci i quali si impegnavano ad armarsi e a promuovere “guerre giuste”,
in nome di Dio, per la difesa della cristianità, così come era stato stabilito
da San Bernardo di Chiaravalle, il più importante protettore di questa milizia.
Nonostante
ciò, la cerimonia d’iniziazione dell’aspirante cavaliere all’Ordine aveva il
suo apice nel rito del rinnegamento di Gesù Cristo come Salvatore del genere
umano e come figlio di Dio, accompagnato dal celebre sputo sulla croce a cui si
potevano aggiungere improperi di vario tipo, così come era previsto dagli Statuti
interni i quali non dovevano mai essere resi pubblici, per ovvi motivi. A tal
proposito, il cavaliere templare Raoul De Presles testimoniò davanti ai legati
del papa e alle autorità ecclesiastiche di aver saputo dal rettore della Casa
dell’Ordine di Laon, tale Gervais de Beauvais, che nella sala capitolare e
generale c’era un libricino che conteneva gli Statuti dell’Ordine che non
potevano essere mostrati ad alcuno che non fosse cavaliere dell’Ordine, nemmeno
al re di Francia, pena la morte per uccisione istantanea di chi si macchiava di
tale colpa.
I cavalieri Templari,
Noffo Dei e Esquin De Floryan, furono i primi ad ammettere l’esistenza nell’Ordine
di una seria di pratiche anticristiane, tra cui, appunto, “l’insulto a Gesù
Cristo…quando i Templari fanno professione di fede, viene presentata l’immagine
di Gesù in croce ed essi, con crudeltà orribile, gli sputano tre volte in
faccia..”.
Bertrand de Montigniac disse che fu ricevuto cavaliere da Fra’ Jean De Chounes,
precettore della Casa dell’Ordine del Tempio di Soissons il quale gli mostrò una
croce sulla quale c’era l’immagine di Gesù Cristo, per poi dirgli tali parole “non
credere in lui, perché non fu altro che un falso profeta, senza alcun potere (sine
ullam valorem)…".
Foulques de
Troyes confessò di essere stato ricevuto nell’Ordine templare, dopo che gli fu
mostrata l’immagine di Gesù in croce e gli fu ordinato di “non prestare
attenzione a lui, perché è troppo giovane per essere Dio”.
Guido de
Ciccica deponendo al processo di Firenze affermò che, durante alcuni Capitoli
generali, sentì più volte professare la seguente dottrina “Gesù non è un vero
Dio, è solo un falso profeta. Non è stato crocifisso per la salvezza del genera
umano ma per i suoi misfatti: non possiamo né dobbiamo essere salvati da lui”.
Fra’ Nicolas
Reginus dichiarò che i precettori di Lombardia e Toscana, Guglielmo di Novi e
Giacomo di Montecucco, durante un Capitolo Generale tenutosi a Bologna, dissero
ai fratelli convenuti che “il Cristo non era né Dio né il vero Signore ma solo
un falso profeta, che non era morto per la salvezza del genera umano e che non
bisognava aspettarsi alcunché da lui…”.
Nel processo
siciliano, molte furono le testimonianze sul fatto che i capi dell’Ordine
chiudevano i Capitoli generali con queste parole “Prego Dio che perdoni i
vostri peccati, come li perdonò a Maria Maddalena e al ladrone posto sulla
croce”. Il cavaliere Garcerand de Teus,
ascoltato dai legati del papa, nella chiesa di Santa Maria in Sicilia, nell’Aprile
del 1310, aggiunse particolari interessanti sulla formula rituale di chiusura
dei Capitoli.
“Il ladrone
di cui parla il capo del Capitolo fa riferimento, secondo i nostri Statuti, a
tale Gesù o Cristo che fu crocifisso dagli ebrei, perché egli non era Dio e
invece si definiva Dio e re degli ebrei, il che è un oltraggio per il vero Dio
che sta nei cieli. Quando pochi istanti prima di morire, Longino gli trafisse
il costato con la lancia, Gesù si pentì di essersi definito Dio e re degli ebrei
e chiese perdono al vero Dio: allora questi lo perdonò. Ecco perché parlando
del Cristo crocifisso, usiamo queste parole: come Dio perdonò il ladrone che fu
messo in croce. Per quanto riguarda la Maddalena, i suoi peccati le furono
rimessi dal vero Dio che sta nei cieli, perché fu sua amica e per servirlo
frequentava le chiese e i monasteri e accendeva le lampade delle chiese”.
Molte altre
testimonianze dei cavalieri rivelarono che gli anziani dell’Ordine, tra cui
Gerard de Passage, ripetevano che “Gesù è morto per i suoi peccati” oppure “non
dovete credere che Dio sia morto perché ciò non è credibile” o ancora “la croce
non è altro che un pezzo di legno”
Dopo queste
parole, spesso, veniva imposto ai cavalieri convenuti l’obbligo di sputare tre volte sul crocifisso in
segno di disprezzo, soprattutto nel giorno del Venerdì Santo, come raccontò al processo di Firenze Fra’
Egidio che venne obbligato anche a calpestare la croce con vigore, col fine di
trarne energia vitale e potenza.
A tal proposito
è di grande interesse ciò che il cavaliere e biografo medievale Jean de
Joinville scrisse nella biografia dedicata al re di Francia, la celebre Storia
di San Luigi, riguardo al rito dello sputo sulla croce praticato ritualmente dai
Templari.
Al capitolo
71, lo scrittore riporta un incontro che si svolse tra re Luigi e gli emiri arabi.
Questi ultimi volevano che il re di Francia giurasse che se non avesse
rispettati i patti con loro, sarebbe stato pubblicamente disonorato come quei Templari
che rinnegano Dio, la sua legge e che sputano sulla croce, camminandoci sopra. Re
Luigi non solo dimostrò di conoscere bene il celebre rito dei Templari ma cosa
ancor più strana, si rifiutò di fare questo giuramento.
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